Ulivi e olio in Sardegna. Una tradizione millenaria
Ulivi e olio in Sardegna. Una tradizione millenaria
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Sardegna, terra di vento, boschi di macchia mediterranea, coltivazioni di grano, pastorizia e oliveti.
Già oliveti, milioni di ulivi, e di olivastri, caratterizzano gran parte dell'isola. Qualcuno, là "in continente", a volte si dice sorpreso nello scoprire che in Sardegna ci sia una discreta, e di altissima qualità, produzione olivicola. Ulivi e olio in Sardegna non rientrano fra i tanti luoghi comuni (spesso inesatti e spesso purtroppo diffusi dagli stessi sardi) associati all'isola, eppure la storia dell'ulivo, e dei suoi predecessori, è millenaria sull'isola. L'antichissima presenza sul territorio è ben comprovata anche dall'archeologia, che ci parla di pollini dell'olea europea e/o di olivastro già nell'era post glaciale.
Una tradizione rinvigorita dai monaci e dagli spagnoli in epoche più recenti, ma che era già ben radicata almeno dall'età nuragica: abbiamo infatti diversi esemplari di ulivi e olivastri la cui età è di almeno tre millenni (ad esempio a Luras , Santa Maria Navarrese e Sarule...). E anche i ritrovamenti in almeno due contesti nuragici (Duos Nuraghes a Borore e nel villaggio nuragico di Su Putzu a Orroli) di noccioli d'oliva confermano un utilizzo della preziosa drupa che si perde nella notte dei tempi.

Macina manuale (disegno di Francesco Corni)
Sono state inoltre rinvenute tracce della pratica dell'estrazione dell'olio presso la civiltà nuragica. Delle macine, manuali e in granito, che probabilmente erano utilizzate per olive, o olivastro, e lentisco.
L'olivo fa anche parte della triade sacra, assieme a grano e vite, che ha sempre caratterizzato rituali, credenze e rappresentazioni religiose da migliaia di anni. Sino ai giorni nostri, visto che anche nella simbologia cristiana i tre elementi sono sempre presenti e complementari tra loro: il pane e il vino sono corpo e sangue del dio , mentre sono simbolo di pace e purificazione l'ulivo e l'olio.
Anche paesaggisticamente è un binomio inseparabile con l'isola quello degli olivastri, scolpiti dal vento negli scoscesi pendii di colline e montagne granitiche, o degli ulivi domestici, sagomati dalle sapienti mani dell'uomo. Questi ultimi spesso ci narrano anche di quanto un tempo certe terre difficili, che a noi oggi appaiono inaccessibili alla produzione, fossero caparbiamente soggette alle cure umane. Declivi, dove quasi non si riesce a camminare se non a quattro zampe, costellati di piccoli terrazzamenti o aiuole di massi granitici grandi abbastanza da contenere alberi secolari, che ci riportano a un'epoca in cui niente andava sprecato, e dove la fatica andava di pari passo con la soddisfazione di quei piccoli uomini temprati dagli elementi.
Altri oliveti ancora simboleggiano fieri titoli nobiliari, quando questi si conquistavano sul campo, e non solo di battaglia: nel 1806 il re Vittorio Emanuele I pubblica «l’Editto degli ulivi», concedendo il titolo nobiliare a chiunque piantasse o innestasse almeno quattromila ulivi. Il La Marmora racconta che il marchese di Vallermosa ne innestò ben 10000 !!!!
Ancora oggi l'ulivo ha un posto di primissimo piano tra le attenzioni agricole e culturali dei sardi. Pianta rispettatissima, maniacalmente curata anche ora che il suo prodotto non è più quel simbolo di ricchezza che era sino a metà del '900. Le grandi invasioni di oli industriali, non esattamente genuini e naturali, hanno infatti portato a un grave deprezzamento di quello che veniva definito "oro liquido", che qui in Sardegna tuttora viene quasi sempre ottenuto con metodologie a misura d'uomo, non potendo così competere con i bassi costi di ottenimento del prodotto in altre zone di produzione, dove si ricorre in tutta la filiera a sistemi di lavorazione industriali, intensivi e quindi meno onerosi, ma spesso anche meno pregiati qualitativamente.

Chiesa s Miabi a Gonnosfanadiga (da Wikimapia http://goo.gl/hDK6En )
Ma il sardo, si sa, è animale testardo e, attaccato a usi e tradizioni, non si perde facilmente d'animo, continuando imperterrito a curare, come da millenni, i suoi oliveti; cosicché è sempre possibile, quando si voglia incontrare più da vicino una parte della storia e della tradizione di questa affascinante isola, farsi accogliere da intere vallate e colline coperte da campi di ulivi, inframezzati e delimitati tra loro da siepi di lentischio e mirto.
Con la possibilità di scorgere tra questi lo spuntare di vecchie rovine nuragiche e villaggi medievali abbandonati, dove l'olivo era la pianta regina. Affascinanti due esemplari di ulivi secolari che, nelle campagne di Gonnosfanadiga, spuntano dall'interno di due diverse chiese abbandonate, quella di santu Pedru (san Pietro), nel villaggio di Serru abbandonato attorno al 1610 in seguito alle incursioni dei mori, e quella di santu Miabi (san Michele); luoghi un tempo di culto e considerati sacri. E la cui sacralità è ora assicurata da questa pianta da sempre rispettata dall'uomo.
Insomma, cari non isolani, continentali come diciamo qua in Sardegna 😉 , non c'è da stupirsi nello scoprire che la Sardegna è una grande e millenaria produttrice d'olio. E olio di gran qualità. Qui l'industrializzazione, anche quella della filiera agricola, non ha mai veramente preso piede, se non in poche e circoscritte porzioni di territorio. E questo ha fatto si che i suoi prodotti, che in altre zone hanno sacrificato parte della qualità al processo produttivo, abbiano mantenuto un livello generale di eccellenza e genuinità. Ancor di più nel settore olivicolo in cui la maggioranza degli uliveti sono a conduzione familiare o di piccole aziende, e quindi anche la loro lavorazione non è stata contaminata da logiche "multinazionali" legate al massimo profitto. Si fa ancora tanto per passione e per rispetto di chi ha lasciato in eredità un tanto prezioso patrimonio. Prezioso, se non più economicamente, certamente a livello paesaggistico e ambientale. Inestimabile da questo punto di vista.
Anche i metodi di coltivazione non si discostano tanto, se non per indispensabili migliorie tecniche, atte a garantire standard organolettici di massima purezza soprattutto nella raccolta e in frantoio, da quelli imparati dai nonni.
La trasformazione avviene sempre per spremitura esclusivamente meccanica e per la maggior parte in piccoli oleifici, dove la qualità può essere più facilmente controllata nei minimi particolari, passaggio dopo passaggio.
Le cultivar più rinomate sono la Bosana (presente specialmente nel Sassarese e nella Nurra), la Nera di Gonnos (Gonnosfanadiga), la Semidana (Oristanese), la Terza Grande e Piccola (Gonnosfanadiga-Villacidro), la Pizz'e Carroga (Becco di Cornacchia, presente in tutta l'isola con qualche variante), L'Olia Niedda (Oliva Nera, Oliena) e Tonda di Cagliari (Cagliaritano e Oristanese)
Fra i centri di produzione più famosi, nonché inseriti nel circuito Città dell'Olio, ricordiamo Gonnosfanadiga, Dolianova, Villacidro, Alghero, Vallermosa, Ussaramanna, Dorgali, Ittiri, Berchidda, Orosei, Cabras....
Quindi che aspettate: venite a scoprire i secolari oliveti che spuntano dai graniti e approfittatene per farvi offrire una fetta di pane pregna della loro oleosa essenza. Vi accorgerete di quanto sia gustosa e genuina la storia, quella di ulivi e olio in Sardegna 😉
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